Dalle iniziative che coinvolgono gli spettatori all'impegno politico, il Direttore Artistico del teatro Brancaccio di Roma spiega limiti e necessità emersi in questo anno di pandemia.
Un anno di pandemia, una lotta costante contro il Covid-19 che ha portato all'arresto forzato di molte attività. Il settore spettacolo è uno dei più colpiti, ed è quello che fa più fatica di tutti a trovare una strada per risollevarsi, di certo non nell'immediato.
Molte sono le iniziative che i direttori dei teatri hanno messo in campo per rimanere vicini agli spettatori e alle maestranze. Lo sa bene Alessandro Longobardi, il direttore di una realtà teatrale 'multipla' - gestisce il Brancaccio, il Brancaccino, Sala Umberto e Spazio Diamante - che all'inizio della pandemia ha dovuto interrompere sette tournée avviate e abbassare quattro serrande.
Da quel momento però, Longobardi ha cercato modi più costruttivi per prepararsi alla riapertura ed ha organizzato iniziative per rimanere vicino alla gente: dalle luci accese a teatro alla possibilità di poter lasciar scritto un pensiero sul teatro, da parte di chi il teatro lo vive con sentimento. La chiacchierata con Teatro.it è stata ad ampio raggio, ed offre una diapositiva lucida sulla situazione ma anche su quanto si muove lontano dai nostri occhi, tra tavoli di lavoro e proposte per il futuro.
Tenere aperto il Brancaccio e dare alla gente la possibilità di esprimere un pensiero sul Teatro. Qual è il risultato che speri di ottenere?
E’ stato un segno di solidarietà che abbiamo voluto dare, con un movimento nato da una richiesta partita dagli attori, quella di illuminare le strade e di dare una speranza alla gente. Quindi ha un valore simbolico, sostanzialmente. Non spero di ottenere nulla, semplicemente di dare il senso dell'esistenza di un luogo che comunque c’è. Tra l'altro il Brancaccio non ha mai spento le luci, ma questo dal 5 di marzo 2020, e tanta gente che vive nel quartiere ci ringrazia, perché comunque con questa desolazione da covid, vedere le luci accese da fiducia.
Franceschini aveva annunciato l’apertura dei teatri il 27 Marzo. Era chiaro che, vuoi per restrizioni vuoi per aumento dei contagi, non sarebbe stato possibile. Che significato dai a questo annuncio?
Ma è chiaro, è un’azione politica che andava verso la soddisfazione di richieste da parte del mondo degli attori. Lui collegava la riapertura alla giornata mondiale del teatro, quindi avrà fatto una liason simbolica.
Un annuncio però fatto attraverso un tweet. Superficialità, propaganda o mancanza di rispetto per i lavoratori dello spettacolo?
Ma nessuno dei tre. Il tweet è uno strumento veloce, oggi prevale più la velocità della comunicazione rispetto alla sostanza. Forse una certa superficialità ci può stare ma in buona fede, diciamo.
Dopo un anno sono stati aperti tavoli di dialogo, e molte associazioni di categoria sono state ascoltate. Ma non sembra cambiato nulla. Cosa non ha funzionato nel dialogo con le istituzioni?
Non sono tanto d'accordo, qualcosa sta cambiando. C'è più consapevolezza tra le parti e l'istituzione del tavolo è un grandissimo risultato. Avere la possibilità di uno strumento che mette a confronto le associazioni, ripeto, è un obiettivo importante che è stato ottenuto. Chiaro che all'inizio, come tutte le cose che si fanno in un contesto nuovo devono essere rodate, le modalità d'uso per cui noi stessi, cioè tutti quelli che stanno intorno a quel tavolo, dobbiamo renderci conto che siamo troppi!
Impossibile avere cento sigle intorno a un tavolo e sostenere spesso le stesse cose. Bisogna capire che nel tempo le sigle vanno confederate, devono esserci pochi soggetti che fanno la sintesi di cento sigle; questo porterà a un'efficienza del tavolo.
Gli spettatori non conoscono bene la differenza tra teatro pubblico e privato, vedono che alcuni teatri lavorano e altri no. Pensi che comunque sia corretto che chi può lavori?
Giustamente lo spettatore non si pone la domanda, va a vedere uno spettacolo, non guarda cosa ci sia dietro. Nel teatro privato, c'è chi ha finanziamenti importanti e molti che non hanno nulla. Credo che il tema vada posto in modo diverso, non sono gli spettatori quanto il Ministero dei Beni Culturali che dovrebbe porsi in modo più razionale nella distribuzione delle risorse. Va attuato un ripensamento del modello di sostentamento di gestione risorse per la cultura, per evitare discriminazioni fra teatro pubblico e privato cioè tra chi ha risorse e chi non ne ha, oltre a migliorare la sinergia tra i due ambiti.
Perché il teatro privato non riesce a concertare con il teatro pubblico per fare fronte comune in questa emergenza?
Per due motivi: il primo perché il teatro privato è composto da privati che sono sempre stati divisi tra di loro e quando manca l’ unità di intenti manca la forza. Il secondo perché le risorse sono limitate e giustamente il mondo pubblico non ha interesse a condividerle con quello privato, quindi o c'è un rapporto di forza bilanciato, il privato in qualche modo attraverso una forte rappresentanza sostiene le sue ragioni oppure dubito fortissimamente che un soggetto pubblico possa venire incontro a un soggetto privato. Posto che poi l'attività è di interesse pubblico di entrambi i settori quindi in un mondo ideale ci dovrebbe essere solo sinergia, come accade in alcuni paesi, ad esempio l'Inghilterra.
Perché c’è questa continua disparità di trattamento tra teatro pubblico e teatro privato, a discapito dei secondi, lavoratori compresi. Non si parla dello stesso settore?
Dipende dalla rappresentanza. La rappresentanza del teatro privato non ha quella capacità di tutelare il teatro privato stesso, quindi questo anno di covid ha comportato una presa di coscienza, ci sono aggregazioni nuove, c'è un impegno politico diverso. C’è del tempo libero, quando uno lavora tutti i giorni ha meno tempo per dedicarsi all’aspetto politico del settore. Il covid, impedendoci di lavorare, ha generato però questo tempo per pensare a un miglioramento della nostra rappresentanza e la modalità di lavoro.
Voi come teatro Brancaccio siete stati tra i “fortunati” che hanno ricevuto un sostegno. Che spese ha coperto e per quanto tempo?
Non userei fortunati nel caso nostro perché sono vent’anni che faccio teatro con Sala Umberto, 8 anni con Brancaccio, Brancaccino e Spazio Diamante e direi che non abbiamo mai ricevuto finanziamenti in passato se non una cifra ridicola, parliamo di 45.000 euro per l'impresa di produzione rispetto agli 11 milioni in fatturato del gruppo. Il supporto c'è stato ed è stato essenziale (Qui i contributi ricevuti dai singoli teatri privati), dal momento in cui dal 5 di marzo 2020 siamo stati congelati, con 7 produzioni che giravano per l'Italia e 4 teatri improvvisamente bloccati senza poter fare nulla. Quindi l'importo di €690.000 che abbiamo ricevuto è benedetto anche se sicuramente insufficiente rispetto alla nostra quantità di costi medi di struttura. Sala Umberto ha preso €310.000 e anche lì grazie, miracolosi ma assolutamente insufficienti per le nostre dimensioni. Noi siamo, ricordo, un gruppo con ben 80 dipendenti e collaboratori in cassa integrazione, mediamente le produzioni avevano 350 scritturati l'anno, quindi è un impegno importante. Spero nel 2021 possano essercene altri, di sostegni di questo genere.
A quanto ammontano le perdite, se è lecito chiedere?
Abbiamo avuto un disavanzo di € 3.200.000 di gruppo.
E’ stata corretta la distribuzione delle risorse?
Il metro di distribuzione scelto dal Mibact è stato legato a dei parametri che sono la quantità di giornate lavorative e la quantità di borderò; si stimava di dare un supporto per tutelare le realtà con un minimo di forza lavoro, da cui le 1000 giornate contributive pari a circa 4 dipendenti. L'altro parametro minimo, prevedeva 80 borderò a stagione.
Quindi è chiaro come questa impostazione abbia generato un grosso malcontento delle piccole realtà, soprattutto di coloro che prendono forza lavoro in termini di servizio e non in termini di dipendenti a contratto. Però in quel momento è evidente che il Ministero rispetto alle risorse che aveva, ha fatto una scelta e la scelta era quella di tutelare le strutture che avevano più peso su occupazione e indotto. Poi ci sono chiaramente alcuni soggetti che avevano altre risorse e questo ha generato un ulteriore malcontento ma c'è sempre del male per ogni tentativo di far bene, non si può essere perfetti.
A questo punto, cosa si può fare per diventare parte attiva di un sistema economico fino ad ora bistrattato?
Per quanto mi riguarda, sto facendo molto perché mi sono adoperato sul territorio romano per dare una mano alla Unione Teatri di Roma, un'associazione costituita da poco con 46 teatri di Roma, praticamente quasi tutti, che si è attivata nei confronti delle istituzioni locali, quindi con la Regione Lazio, dove nel rapporto c'è stata una grossa capacità di ascolto e di conseguenza di tutela. Meno con Comune di Roma, ancora stiamo aspettando. Poi abbiamo attivato un rapporto con uno studio di Relazioni Istituzionali che ci consente di portare le nostre istanze attraverso la partecipazione ai tavoli più importanti, ad esempio in settima commissione al Senato piuttosto che con i parlamentari deputati che ci contattano per conoscere meglio la realtà del settore teatro.
E’ un primo passo, è un anno di lavoro, abbiamo fatto tanto, c'è tanto da fare. Dobbiamo arrivare a una Confederazione di associazioni che renda più forte la nostra capacità di rappresentanza e quindi di sostegno al settore. Va fatto un lavoro importante sui contratti collettivi di lavoro, sulla formazione, sulle normative di sicurezza, sulle normative che regolano la sicurezza dei locali di pubblico spettacolo, sulla capacità di accedere ai fondi, sulla stessa norma che regola il Fus ad esempio, che incentiva un eccessivo numero di produzioni. Le produzioni devono essere di qualità e la tenitura dovrebbe essere aumentata, soprattutto in città come Roma, Milano e Napoli.
Le scuole potrebbero avere un ruolo significativo?
La scuola è fondamentale! Il teatro pubblico/privato e il Miur devono avere un rapporto molto stretto, il pubblico di domani si fonda sul teatro ragazzi, quello serio. Non bisogna utilizzare il teatro pensato per un pubblico adulto e portarci i ragazzi, così rischiamo di far odiare il teatro.
Ora la priorità è la sopravvivenza economica dell’intero settore, soprattutto privato. Come dovrebbe intervenire il governo per un aiuto concreto?
Bisogna sopravvivere fino al 2022 addirittura, c’è bisogno di provvedimenti che consentano di accedere al finanziamenti, il Decreto di Liquidità è incompleto, provvedimenti mirati a rafforzare la patrimonializzazione delle imprese. Ci sono stati emendamenti presentati da noi in questa direzione. Ci devono essere provvedimenti che nel breve ci sostengano e magari diano la possibilità di operare anche sulla innovazione tecnologica dei teatri, soprattutto con impianti di areazione idonei ai tempi covid.
Da direttore e da produttore, come pensi di trattare le grandi produzioni di musical, ipotizzi una ripresa o accantoni il genere?
I grandi teatri hanno bisogno di grandi spettacoli, quando hai 1.700 posti devi pensare a uno spettacolo di sapore popolare, quindi allestimenti di grande attrazione. Allo stesso tempo, per produrre spettacoli di questa dimensione serve una tenitura di molte settimane per sostenere i costi oltre ad una tournée tra le maggiori città. Tutto questo si potrà fare solo quando il vaccino sarà stato distribuito ad almeno il 70% della popolazione perché altrimenti lavorare è impossibile. Basta immaginare che chiunque della compagnia fosse trovato positivo ad oggi, bloccherebbe tutta la catena, una tournée verrebbe inficiata.
Ora dobbiamo guardare al futuro sperando che questo governo sia in grado di cogliere queste peculiarità, ad oggi nessuno conosce realmente come sia la modalità di lavoro nel mondo dello spettacolo dal vivo soprattutto quel mondo che ha bisogno del botteghino per vivere.
Cosa ne pensi dello spettacolo in streaming?
Lo streaming è oggetto di una grande diatriba, ritengo che non vada confrontato con lo spettacolo dal vivo che è e rimane unico e non neanche un surrogato ma proprio un altro linguaggio. Con lo streaming si da la possibilità di poter accedere a uno spettacolo realizzato per il mondo video.
Ora il tema è il linguaggio artistico. Se immaginiamo di fare un prodotto che prevede un montaggio e quindi un prodotto finito per il mondo video allora sicuramente c'è un mercato.
E’ chiaro che è necessaria una visione programmatica a lungo termine, quali sono le tue proposte?
Sicuramente un aumento serio delle risorse a disposizione per il teatro privato e pubblico, la seconda è sui contratti collettivi di lavoro. Ad esempio la cassa integrazione deve essere parte integrante e non un’iniziativa a tampone come è stata fatta adesso.
Bisogna costruire un modello che possa garantire più continuità nel lavoro. Bisognerebbe, come accade in Europa, tenere le sale aperte anche in estate; si potrebbe guardare anche al turismo come risorsa da utilizzare, ragionando su un’offerta culturale che spazi tra la danza, la musica, l'opera e le arti circensi.